Nel calcio si usano spesso metafore ardite per definire alcune tipologie di giocatori: il “mastino” è un marcatore implacabile, il “bomber” un attaccante spietato, il “manovale” è un centrocampista di quantità, mentre il “geometra” è il regista, colui che disegna le trame del gioco, quello da cui parte l’azione.
Andrea Pirlo, seguendo lo schema, apparterrebbe a quest’ultima categoria ma, con tutto il rispetto dovuto ai geometri, sarebbe riduttivo chiamarlo così. Se proprio si volesse rimanere in tema, lo si potrebbe allora definire l’”architetto” o, meglio ancora, l’”ingegnere”. Perché Andrea Pirlo da Brescia, è sì un costruttore di gioco, ma di livello assoluto. Un fuoriclasse dai piedi illuminati e dalla velocità di pensiero supersonica. Un campione che capisce prima degli altri il ritmo di una partita e, cosa ancor più importante, sa farlo suo e cambiarlo, se necessario. Ha un tiro potente, ma soprattutto preciso e “velenoso”, termine che, non a caso, ha battezzato i suoi micidiali calci di punizione.
Più di tutto, è di una freddezza glaciale nei momenti che contano: per lui, tirare un rigore in allenamento, o inaugurare la serie in una finale mondiale non fa differenza. E se la fa, non lo dà a vedere. Una qualità comune ai leader, un pregio che possono vantare solo gli autentici trascinatori, i predestinati.
E Andrea Pirlo è un predestinato: cresciuto nel Brescia, ha esordito in serie A a 16 anni appena compiuti, nel 1994/95. Nasce trequartista e in quel ruolo gioca al Rigamonti, poi con la Reggina e l’Inter, fino al ritorno a Brescia nel gennaio 2001. Qui, per coesistere con Roberto Baggio, arretra la sua posizione e si trasforma in regista, ruolo che farà la fortuna sua e del Milan nei successivi dieci anni trascorsi in rossonero. Il palmares è imponente: un Mondiale per club, due Champions League, due Supercoppe Europee, due scudetti, una Supecoppa italiana e una Coppa Italia. Questo per rimanere solo ai successi di club.
Perché la storia di Pirlo è costellata anche da tante soddisfazioni azzurre: campione d’Europa e capocannoniere del torneo continentale nel 2000 con l’Under 21, bronzo con l’Olimpica ad Atene 2004, soprattutto campione del mondo a Berlino 2006. Ora, alla Juve, ritrova tanti compagni di quella fantastica avventura, con cui scrivere nuove esaltanti pagine di una carriera straordinaria.